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lunedì 21 luglio 2014

Presentazione "Fino alla Fine della Rete" di R.V. Beta

Fino alla Fine della Rete, romanzo di R.V. Beta ora disponibile in formato elettronico su Amazon, racconta le incursioni di una giovane pirata informatica nei mondi simulati di una realtà virtuale che ricorda quella pionieristica degli anni Novanta. 

Formato: e-book, 255 pagine, self-published. 
Sangue secco e altra plastica consumata al link: http://www.rv-beta.com 

SINOSSI Yuuki è una ragazza scappata di casa per vivere sulla propria pelle un’irrefrenabile curiosità per la vita e la tecnologia. La sua ultima impresa di pirateria informatica l’ha riportata bruscamente dal mondo virtuale a quello reale, e ora è un obiettivo. Daisuke è dotato di una fervida immaginazione, con la quale sconfigge le noiose giornate da impiegato di una multinazionale. Qualcosa di speciale unisce Yuuki e Daisuke nella fuga che affronteranno insieme, o almeno così è come la vede lui. L’inizio di una nuova vita per entrambi è una seconda occasione, la possibilità di lasciarsi tutto alle spalle, se troveranno la forza per sfidare gli incubi che li circondano. Il debutto di R.V. Beta è il diario di viaggio di un gruppo di personaggi che dovranno presto imparare a non darsi mai per vinti, perché la realtà non è mai una sola... Esistenze per nulla ordinarie e nessuno di cui potersi fidare fino in fondo: un invito a cambiare prospettiva. 

QUALCHE INFORMAZIONE UTILE SULL'AUTRICE Passo gran parte del mio tempo aspettando che si installino gli aggiornamenti della PS3. Ho a casa un Oculus Rift ancora imballato, mentre i pupazzetti di vinile sono riuscita a tirarli fuori dalle loro scatole. Non sopporto quando si fulmina la lampada del semaforo e non so se posso attraversare. Ho scoperto che il sushi non ingrassa, consiglio il tonno che ha più gusto del salmone. Non capisco che gusto ci sia a mangiare la pannocchia fritta. Le rare volte che vado alle giostre e c’è lo stupido carrellino che porta nel tunnel dell’orrore, tengo gli occhi chiusi. Vorrei iniziare a fumare, ma non ne ho il coraggio. Mi immagino di entrare un giorno in un negozio di elettrodomestici e tutte le televisioni mi salutano facendo il mio nome. Non mi dispiacerebbe lavorare al riciclaggio della carta, rubando dal calderone frammenti di fogli per farmi un collage da attaccare al muro, tipo soggetto pericoloso. Mi ispira Minecraft, ma temo di perdermi dentro. Secoli fa facevo da balia a un Tamagotchi non mio, e non so perché tendevo a trattarlo male: ho ancora i sensi di colpa. Internet è invasa dai gatti, ma anche gli unicorni cercano attenzione a tutti costi. Non so cosa si nasconde sotto la sabbia della spiaggia. 

ESTRATTO Quando Maggie mise di nuovo piede nel suo appartamento, dopo tre settimane di vacanza in Messico, si pentì di non aver prolungato la villeggiatura. Rivide il corridoio, il vaso di fiori di plastica sul mobile basso con il cassetto che non si chiudeva bene, lo specchio con i bigliettini incollati sopra con le commissioni ancora da fare. 
Quello scorcio di casa la riportò alla realtà molto più di quanto lo avesse fatto la vista dell’aeroporto, delle strade cittadine che scorrevano dietro i vetri sporchi del taxi, dei soliti bambini che giocavano a basket di fronte al suo portone di ingresso. La vacanza era stata una piacevole pausa, agognata da troppo tempo, in una vita di continuo stress. Lanciò le chiavi nel piattino di peltro sul mobile dell’ingresso, appoggiò all’appendiabiti il sombrero di paglia, raggiunse la camera da letto e abbandonò lo zaino a terra: più tardi avrebbe messo a lavare i vestiti che c’erano dentro. Si spogliò, rimanendo in reggiseno e mutandine, un completo a righe rosse e bianche di Hello Kitty, pronta per andare a farsi una doccia. Passò davanti alla cucina e si fermò a osservare i due oggetti che aveva appositamente lasciato in bella mostra sul tavolo per quando sarebbe tornata. Si trattava di un portatile Dell di colore bianco lucido, con il marchio in caratteri argentati, e di un vibratore rosa in gomma vinilica dal design a spirale, che svettava in verticale come un’antenna. Rappresentavano le due dipendenze dalle quali si illudeva di uscire. Della seconda non aveva in effetti sentito la mancanza. Il sesso non le era certo mancato in quella soleggiata cittadina dove la noia e l’alcool semplificavano molto i rapporti sociali. Inoltre, là non aveva tensioni da sfogare, né ansia dovuta al superlavoro, alla mancanza di un compagno, o al fatto di essere uno dei capi dei Pathology. Quasi con vergogna, afferrò lo stimolatore e lo buttò nel primo cassetto a disposizione, quello delle posate, incurante della carica batterica celata nelle porosità della superficie gommosa. Era di nuovo da sola in casa, ma si sentiva appagata e convinta che, con le abituali uscite notturne e la doverosa overdose di Martini, qualche disperato sarebbe facilmente riuscita a portarselo nel letto. Al contrario, l’astinenza da computer in quelle tre settimane si era fatta decisamente sentire. Quando i corrieri consegnavano il software rubato, impacchettato per la distribuzione in reti clandestine, poteva capitare che un gruppo rivale fosse pronto per la medesima operazione e, in questi casi, si trattava di vincere la corsa e trasferire per primi i dati. Il gruppo arrivato secondo sarebbe stato goliardicamente sbeffeggiato per i mesi successivi. Quando i Pathology vincevano queste sfide, Maggie scattava in piedi euforica davanti al suo portatile, provando un vago senso di vertigine. Durante la vacanza aveva avuto modo di scoprire che la sua dipendenza era in un certo senso anche fisica: c’erano state sere in cui sentiva la mancanza della tastiera sotto i polpastrelli. In cerca di quella sensazione tattile, sfiorò delicatamente il pannello superiore del portatile, indecisa se farsi prima la doccia o aprirlo subito per leggere gli aggiornamenti. Scelse d’istinto la seconda opzione, ben sapendo che scorrere le decine di messaggi di posta elettronica, i log dei canali di chat e le ultime novità della scena le avrebbe portato via qualche ora. Si mise a sedere, assicurandosi che la webcam incastonata nella plastica non fosse attiva e non stesse riprendendo la sua tenuta da reginetta del porno amatoriale, e mise a fuoco lo schermo. Stava usando un modello da poco uscito sul mercato, con installata l’ultima versione del sistema operativo. Il primo era un regalo di un vecchio amico, mentre il secondo era stato protetto per farci girare i suoi software non ufficiali. Non lo faceva per tirchieria, ma perché godeva nel possedere gratuitamente quello che le multinazionali facevano pagare profumatamente ai comuni consumatori. 
Nell’angolo in basso a destra della barra delle applicazioni, un fumetto giallo sbiadito iniziò a lampeggiare, catturando la sua attenzione. Ci mise un po’ a far mente locale per ricordarsi chi fosse quel Seven che le aveva appena scritto un’unica, eloquente parola: «Problemi.» «Non qui.». Si trovava, con un nickname diverso dal solito, in una chat di supporter di hockey su ghiaccio, dove la sicurezza della conversazione non era garantita. 
La maggior parte del tempo stava collegata lì, godendosi l’anonimato. Aprì un sito di ricette di cucina tailandese, apparentemente innocuo, e si soffermò, come sempre, a fissare gli ideogrammi, affascinata dalla loro bellezza. Nella pagina principale campeggiava la foto di un piatto di som tum. In un campo dove gli utenti immettevano il proprio indirizzo di posta elettronica per ricevere gli aggiornamenti mensili, digitò una lunga stringa alfanumerica ed eseguì l’accesso al lato nascosto del sito. Vide che Daisuke era già collegato, in attesa. Fece un doppio clic sul nome Seven e aprì una finestra di conversazione. 
«Dimmi.»
 «Yuuki sta male e se la portiamo in ospedale... insomma, non so neanche se sia ricercata o meno.» «Si trova lì con te? Sta tanto male?» 
«Sì.» 
«E qual è la tua idea?» 
«Ha fatto il nome di Walter, e, conoscendolo, potrebbe avere l’attrezzatura necessaria per intervenire.»
 «Se rischia la vita, devi metterla nelle mani di un medico.» 
«Lei non lo vorrebbe, lo sai. Dimmi dove si è trasferito Walter.» Maggie non si fidava di Daisuke, ma aveva poche alternative. Dovette pensare, e rispondere, in fretta.
 «Lungo la Maple troverai un campo da atletica. Di fronte, una grande officina dalle pareti di lamiera marrone. Prendi la rampa che ti porterà sul tetto.» 
«Andiamo lì.» Lei attese che il suo contatto si scollegasse e lasciò qualche messaggio istantaneo nel canale dei Pathology prima di fare altrettanto. Si diresse quindi verso la doccia, a sciacquare via sudore e senso di colpa. L'idea che la sua migliore amica fosse in difficoltà la metteva in crisi. Per sollevare il morale, provò a immaginarsi l’espressione di Daisuke, quando questi si sarebbe accorto della piccola trappola organizzata sulla sua strada. CONTINUA...
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