Ciao Rumors! Come promesso qualche giorno fa, eccoci a presentare in anteprima in primo capitolo del nuovo libro di Jenny Anastan "Reality Love" in uscita il 10 Maggio
Capitolo 1
Non
poteva essere vero.
Clarissa,
il mio capo, continuava a parlare mentre io riuscivo solo a fissare il
movimento delle sue labbra, scioccata da quello che avevo appena udito. Era
bastato un nome – quel nome – a farmi
smettere di respirare. Sapevo che sarebbe potuto accadere, ma avevo sperato, e
infine creduto, che per una volta il karma fosse dalla mia parte. Invece il
destino si divertiva a prendersi gioco di me.
Cooper Hill.
Campione
di Basket, vincitore di due campionati, per tre anni consecutivi aveva
partecipato agli All-Star Game e,
ciliegina sulla torta, premiato come miglior giocatore nella regular season. Ventisei anni, e il
mondo ai suoi piedi. I fan lo adoravano, nonostante sei anni prima avesse lasciato
proprio Los Angeles e i Clippers per
volare a New York, per di più, nessuno aveva urlato all’alto tradimento quando
aveva firmato un contratto da capogiro per il Lakers, rivali della sua ex squadra.
Non
era la prima circostanza in cui avevo a che fare con un personaggio così
importante, mi era capitato l’attore, il campione di football, qualche
politico, ma erano state le attrici con poca fama il mio tallone d’Achille.
Eppure, avrei preferito servire loro, piuttosto che stare nella stanza con Cooper
anche solo per cinque minuti. Perché nessuna di quelle persone era l’amore
della mia vita, il ragazzo a cui avevo dato ogni cosa senza mai riprendermela
indietro.
L’unico
e solo proprietario del mio cuore.
Chiusi gli occhi cercando di calmare l’agitazione che provavo,
non dovevo far vedere a Clarissa il mio disagio. Non era una donna molto
tollerante e avrei rischiato di trovarmi culo a terra in cinque minuti. Con la
fatica che avevo impiegato per trovare un posto come quello, anche se non era
il massimo, rimaneva comunque il primo passo verso ciò che volevo fare davvero,
e poi mi permetteva di pagare l’affitto dell’appartamento nel quale vivevo e i
debiti che avevo contratto.
«Siamo molto felici che abbia
accettato», disse Clarissa controllando dei fogli. «Le riprese inizieranno tra
cinque settimane, e deve essere tutto impeccabile».
«Certo Clarissa».
«Nella riunione di oggi parleremo dei
dettagli, e sentiremo le impressioni del Signor Hill. Per noi è importante che
si senta il più possibile a suo agio», smise di guardare le carte puntando i
suoi occhi color ghiaccio nei miei. «Vogliamo un’audience media alta».
«Certo, Clarissa», sembravo un automa.
«Tu sei una delle mie tre assistenti e,
per tutta la durata delle riprese, la tua sola priorità sarà quella di rendere
felice la nostra Star. Se alle cinque del mattino il Signor Hill vuole del
gelato, tu vai a prenderlo. Se
desidera ostriche per merenda, tu
provvederai a fargliele trovare. Chiaro?».
«Cristallino».
«Bene», si alzò dalla poltrona di pelle bianca
e aggirò la grossa scrivania. Appoggiò il suo prezioso fondoschiena sulla
superficie fredda. «Allyson, questa potrebbe essere la tua occasione, se farai
tutto nel migliore dei modi a fine produzione ci sarà una promozione. Ma allo
stesso tempo sappi che non mi farò problemi a licenziarti se lo riterrò
necessario».
«Non ti deluderò», dissi cercando di
essere credibile.
«Lo spero», guardò l’ora sul suo Cartier e con una mano mi liquidò. «Ho
bisogno che mi porti un caffè. E poi, con Summer, prepara la sala riunioni, ci
troveremo lì alle tre oggi pomeriggio».
Annuii in risposta e velocemente lasciai
la stanza, speranzosa che quel senso di oppressione che provavo sul petto
passasse il prima possibile. Non avrei mai permesso che Cooper mi vedesse in
bàlia dei miei sentimenti, a dire il vero mi chiesi se si ricordasse di me, o
se la notorietà, il successo e le donne, avessero spazzato via tutto quello che
era stato, che io avevo rappresentato.
Non lo avevo più visto, nessuno
contatto. Con ogni probabilità ero diventata un ricordo sbiadito nella sua
mente, mentre io non potevo fingere che non esistesse, Cooper era ovunque: in
televisione, sui giornali, alla radio. E poi c’erano quegli orribili,
detestabili cartelloni pubblicitari. Quando apparivano Los Angeles diventava Cooperland; il suo corpo e il suo bel
volto accompagnavano le più prestigiose marche sportive, i profumi più costosi e per due anni sarebbe
stato il volto di Armani. Ma la cosa
che più mi faceva male, anche dopo tanto tempo, era vedere il ragazzo che avevo
amato più della mia stessa vita, sorridere e abbracciare un’altra. Era
straziante osservare lo stesso sguardo che era stato solo mio, regalato a una
che non ero io.
Per assurdo, tutti i problemi che
avevano sconvolto la mia vita erano stati il diversivo per non pensare a lui
costantemente. Ma capitava spesso – più
volte di quanto amassi ammettere – che sdraiata nel mio piccolo letto fissavo
il soffitto domandandomi come sarebbe stato se...
Però con i se e con i ma, non si va da nessuna parte e
fantasticare su una vita diversa da quella che avevo avrebbe solo peggiorato le
cose, rendendomi triste e malinconica.
E la malinconia non era di certo la
compagnia di cui avevo bisogno.
***
Mi tremavano le mani.
Seduta vicino al muro, restavo rigida a
controllare con gli occhi che sul grande tavolo fosse tutto perfetto. Non avevo
scordato nulla, io mi ero occupata del Catering e Summer della sistemazione.
Non c’era neppure un minuscolo granello di polvere, o una tartina fuori posto.
Clarissa era molto esigente, risultava spesso pesante e quasi impossibile da
accontentare, ma anche lei avrebbe dovuto ammettere che io e Summer eravamo
state quasi eccellenti. “L’eccellenza
non esiste, si può sempre fare di meglio”. Questo era il mio mantra, cercavo di
dare il massimo in ogni situazione, anche quando le cose potevano apparire
complicate o difficili. Non esistevano strade troppo in salita. Lo avevo
creduto fino a quella mattina, fino al momento in cui il nome di Cooper era
stato pronunciato dalla bocca del mio capo.
Sarei stata in grado di superare
qualsiasi ostacolo la vita avesse in serbo per me, ma non ero sicura di essere
pronta ad affrontare Lui. Quella
presa di coscienza fece accelerare il mio battito cardiaco e, nonostante l’aria
condizionata fosse accesa, le mie mani sudavano.
Mancavano
due minuti.
Abbassai le palpebre, mentre nelle mie
orecchie arrivavano le voci di quelli che si erano già accomodati, in attesa
dell’arrivo di Clarissa, del produttore esecutivo Steve Jackson, e il campione
amato da una nazione intera.
Non avevo avuto il tempo di chiedermi
come avrei reagito una volta che fossi stata nella stanza con lui, se il mio
corpo, ma soprattutto il mio cuore, avrebbero retto all’onda d’urto del nostro
primo incontro dopo tanto tempo.
Mancava
un minuto.
Erano tutti eccitati, il progetto era
davvero interessante. Un Reality sulla vita quotidiana di una star del Basket
era qualcosa che la popolazione avrebbe di certo amato vedere. E la scelta di
Cooper avrebbe calamitato l’attenzione di tutti. Lui era uno dei più apprezzati
sportivi del paese: una carriera in ascesa, una vita senza macchie e senza
scandali; gli uomini lo ammiravano e desideravano essere lui, le donne lo
desideravano e basta. Ma dietro tutto quel successo c’era sudore e fatica,
momenti di sconforto in cui lui si era sentito non adatto, inferiore ad altri
atleti. Ricordavo ogni cosa, avevo vissuto al suo fianco ogni attimo della sua
crescita sportiva; da quando era un bambino mingherlino con il poster di Jordan appeso alla parete della sua
cameretta, fino al momento in cui era diventato il capitano indiscusso della
squadra del nostro liceo. Meritava tutto ciò che aveva ottenuto, perché sapevo
che se lo era guadagnato. Ero così orgogliosa di lui quando seduta sugli spalti
della nostra scuola, assistevo a ogni suo incontro. Mai avrei immaginato di non
essergli accanto anche nei suoi primi successi nella NBA, ero sicura che non ci
saremmo mai lasciati, invece tutto era svanito poco dopo il nostro arrivo in
California.
La
porta si aprì e io smisi di respirare.
Fu in quel preciso istante che capii
tutto. Sarebbero passati anni, ci sarebbero stati altri uomini, ma lui non
avrebbe mai lasciato il mio cuore. Non si sarebbe fatto neanche un po’ più in
là. Avrebbe piantonato il mio muscolo cardiaco, proteggendolo da possibili
invasori. Dopo sei anni quello che provavo per lui era ancora lì, in mezzo al
mio petto, e non era mutato.
Cooper entrò per secondo, e dopo di lui
Steve, il grande capo. Era bello come l’ultima volta che lo avevo visto, più
affascinante di persona che sulle riviste o dietro uno schermo. Il suo carisma
era qualcosa di palpabile, la sicurezza con cui si muoveva e il suo sguardo
fermo, lo rendevano pazzesco. Quel suo modo di fare lo avrebbe fatto diventare
qualunque cosa, ne ero sempre stata convinta. Infatti era il leader della sua
squadra nonostante la giovane età.
Abbassai la testa sperando che non mi
vedesse. Ero terrorizzata dalla sua reazione, neanche mi accorsi delle due
persone con di lui. Feci il possibile per mimetizzarmi, ma non possedevo molte
opzioni per nascondermi e, sapevo, che a breve avrebbe scorto la mia figura.
«Vi presento Cooper Hill», disse Steve
Jackson con una nota di compiacimento.
Supposi che non doveva essere stato
semplice strappare la firma di Cooper, sul piatto avevano certamente buttato un
bel po’ di soldi, per convincere sia lui che il suo staff. Restavo comunque
stupita dalla scelta del mio ex, non era mai stato un amante dei riflettori, e
ora avrebbe convissuto con le telecamere anche in momenti di privacy.
«Sono molto felice di conoscervi».
La sua voce fu come una calamita per me.
Alzai gli occhi e mi misi a fissarlo come il resto dei presenti nella stanza.
Lui era di profilo, stava scandagliando ogni membro dello staff e più si
avvicinava al mio viso, più mi sentivo male. Ma il suo sguardo scivolò su di me
velocemente. Nessun accenno di sorpresa nel suo volto. Avrei dovuto essere
sollevata, ma sentivo un sentimento simile alla delusione nascere in me.
Non si era accorto della mia presenza, o
forse semplicemente non gli importava? Ero solo io a dare un peso eccessivo a
quel momento. Mi tranquillizzai, mettendo a tacere il dolore che la sua
indifferenza mi stava causando, e spostai l’attenzione sulle persone che si
stavano sedendo al suo fianco. La ragazza non l’avevo mai vista, probabilmente
era una nuova assistente, mentre l’uomo seduto alla destra di Cooper lo
conoscevo fin troppo bene: Martin Altintop. Da me soprannominato il figlio di puttana.
Non amavo imprecare o usare un
linguaggio scurrile, ma Mister Altintop aveva tutto il mio disprezzo. Di una
cosa bisognava dargli atto: era un agente sensazionale. In poco tempo aveva
portato Cooper nell’olimpo, e poi sempre più su. Non avrei mai potuto scordare
le sue parole la prima volta che incontrò me e Cooper: “tu, ragazzo mio, farai
letteralmente impazzire gli stadi. Tutto il paese ti amerà”.
E aveva avuto maledettamente ragione. Ma
quanto era costato a me la realizzazione di quel sogno?
La riunione durò due ore. Io presi
appunti, alzai la testa il meno possibile evitando di scontrarmi con il viso di
Cooper, e finsi di non sentire gli occhi di Martin su di me. Volevo uscire da
quella sala e non vedevo l’ora di buttarmi sotto la doccia. Avrei anche
apprezzato un po’ di cucina piccante di Maria. Qualunque cosa, purché fosse
lontana da loro.
«Allora mi pare sia tutto sistemato»,
disse Steve Jackson. «Ci riaggiorneremo nelle prossime settimane».
«Sì», confermò Clarissa. «Le riprese
inizieranno tra due mesi alla fine della regular
season, ci terremo in contatto quotidianamente».
«Perfetto», Cooper aveva parlato poco
durante il meeting, più che altro aveva ascoltato. «Sarò sempre reperibile,
tranne un paio di giorni in cui andrò a Dallas per dei motivi famigliari, ma
Martin sarà sempre a disposizione».
Quando nominò Dallas io mi irrigidii.
Entrambi eravamo originari di lì e, immaginarlo nella nostra città con la sua
famiglia, mi faceva sentire come se fossi stata privata di qualcosa che mi
apparteneva di diritto. Anche i suoi genitori mi mancavano, non li avevo più
visti dal
funerale di mio padre, cinque prima. Quella era stata l’ultima volta che
avevo messo piede in Texas.
«Non si preoccupi, ci rivedremo il venti
aprile», asserì Clarissa.
Cooper si alzò e tutti lo seguirono. Io
non mi mossi dal mio posto, aspettando che la stanza si svuotasse. Cooper non
mi degnò di uno sguardo, mentre Martin mi lanciò un’occhiataccia.
Odiavo quell’uomo, lo detestavo e provai
un senso di leggerezza quando non sentii più i suoi occhi su di me.
«Resto io a sistemare», dissi a Summer
cercando di tenere la voce ferma.
Ma non era facile, come poteva esserlo
dopo quell’incontro?
«Ok, vado a sentire se Clarissa ha
bisogno di qualcosa prima che ce ne andiamo».
Io annuii, e seguii la figura della mia
collega mentre si chiudeva la porta alle spalle. Appoggiai i palmi sul tavolo e
provai a rilassare la muscolatura del collo. Ero rimasta rigida per tutto il
tempo, tanto che mi ero procurata di certo una contrattura. Percepivo la
tensione in ogni parte del mio corpo, in ogni cellula.
Abbassai le palpebre e respirai
profondamente, ripetendomi che il peggio era passato o, che perlomeno, per le
prossime settimane non lo avrei più visto. Quando sarebbero iniziate le riprese
sarei stata pronta ad avere a che fare con lui.
«Allyson».
Pronunciato in quel modo, il mio nome fu
come una frustata veloce e feroce. Nel tempo avevo pensato parecchie volte a
come sarebbe stato parlare ancora con lui, cosa dirgli se avessi avuto l’occasione di
rivederlo.
Ma, per quanto la mia testolina avesse
fantasticato su questo momento, non ero di certo pronta a farlo davvero.
Non lo sarei stata mai.
«Ciao, Cooper», dissi voltandomi verso
di lui.
«Volevo solo dirti un paio di cose, e ho
preferito farlo di persona. La mia assistente non sa niente di questa storia e
vorrei che continuasse così», disse con voce pacata.
Sbattei le palpebre confusa, non capendo
a cosa si riferisse.
«Quale storia?»
«Che io e te in passato ci
frequentavamo»; le sue labbra si tirarono in un piccolo ghigno.
Mi fece venire i brividi il modo in cui
pronunciò quella frase, come se non fosse stata una cosa importante. Non mi
aveva neppure chiesto come stavo, nessuna domanda, mi guardava come se fossi
una ragazza qualsiasi… una che aveva solo frequentato.
«Era quello che facevamo, Cooper?»,
chiesi timidamente. «Ci frequentavamo?».
«Eravamo giovani e stupidi», asserì
senza scomporsi. «Ma non è importante capire quello che eravamo, la cosa che
conta è che dalla tua bocca non esca nulla sulla nostra vecchia relazione. Per
me sarebbe una vera e propria scocciatura».
Lo osservai. Per la prima volta da
quando era entrato nella sala riunioni mi permisi di guardarlo veramente. I
suoi occhi verdi come il più bel prato di primavera erano così maledettamente
tranquilli. Non era neanche un po’ toccato dalla mia presenza. Questo
significava che non avevo più nessun effetto su di lui, e la calma snervante
che esibiva mandava me su tutte le furie.
Capire di essere niente per la persona
che, nonostante tutto, rappresentava ancora troppo mi faceva un male
indescrivibile. Mi sentivo sola come mai prima.
«Non dirò nulla», dissi.
«Brava», parve compiaciuto. «Martin è
stato molto scrupoloso per tenere il tuo nome lontano dall’inizio della
carriera, preferirei che le riviste scandalistiche non si buttassero su una
storia morta e sepolta».
«Certo», faticavo a parlare. Mi mancava
l’aria, quella conversazione mi stava prosciugando delle poche energie che mi
erano rimaste.
«E poi vorrei evitare che la mia
fidanzata si agitasse», quello fu un colpo al cuore. «Non le farebbe piacere
sapere che durante le riprese ci sarà una delle mie ex».
Fidanzata.
Una
delle mie ex.
La testa cominciò a girare come una
centrifuga, ogni pensiero veniva sballottato di qua e di là, e non ero più in
grado di compiere un ragionamento sensato.
Fidanzata.
Una
delle mie ex.
Rimasi in silenzio, certa che i miei occhi
stessero tradendo ogni emozione. Conscia che lui si stava divertendo
nell’assistere alla mia resa.
«Bene. Vedo che siamo d’accordo»,
sorrise facendo un passo verso la porta. «Almeno mi hai evitato il compito
ingrato di farti licenziare».
«Come scusa?».
«Hai capito quello che ho detto, e ora
devo andare».
«Cosa ti è successo Coop?».
Si bloccò appena formulai la mia
domanda, e mi maledissi per averla posta a voce alta. Se ne stava andando,
invece ora i suoi occhi erano di nuovo su di me. Meno distaccati di prima, ma
così freddi da far gelare il sangue.
«Non mi è successo nulla».
«Io ti conosco, tu non sei…», lo indicai
con il dito, «non sei così, il vecchio Coop non avrebbe mai accettato di essere
il protagonista di un reality».
Cooper inaspettatamente scoppiò a
ridere.
«Tu non mi conosci. Conoscevi un
ragazzino, ma sono passati sei anni e ora sono diverso. Sono un uomo. E per
quanto riguarda il reality, l’ho fatto per la mia fidanzata, è una sorta di
regalo, un modo per darle la giusta visibilità».
«Non sei mai stato così cinico»,
sussurrai.
«Allyson, non sono cinico, direi
l’opposto. Lo sto facendo per la donna che amo», rispose piano. «Per quanto
riguarda noi, semplicemente non m’interessa ricordare il passato, perché non
era niente di speciale. Sono solo ricordi». Le
parole hanno il potere di dilaniare anche il più forte dei cuori e il mio
era in mille pezzi. Disintegrato. «Quello su cui mi focalizzo è il mio lavoro e
la mia donna, proteggo loro da quello che poterebbe capitare se la stampa
scoprisse chi sei. Tutto qui».
Aveva ragione: non lo conoscevo.
La persona che mi stava di fronte era un
perfetto sconosciuto, possedeva solo i bellissimi tratti del ragazzo che avevo
amato con tutta me stessa. Per il resto non c’era più nulla di lui, ed era una
scoperta che mi lasciava tramortita.
«Se è tutto, io avrei del lavoro da
sbrigare», dissi atona.
«Non c’è altro. Arrivederci Allyson»,
nessuna alterazione nella sua voce, niente che facesse pensare a un suo
piccolo, minuscolo, turbamento.
Avrei voluto alzare un braccio per
afferrarlo, per costringerlo a guardarmi, a vedermi,
avrei voluto ricordargli chi ero, chi eravamo stati. Che noi eravamo stati la storia e non una frequentazione, ma
non lo feci.
Ero troppo debole, martoriata dalla
portata delle sue parole. Mi sentivo come dopo una battaglia, e il nemico era
in vantaggio su tutti i fronti: terra, aria, acqua…
Quindi non mi mossi, non fiatai, rimasi
spettatrice passiva di quel momento.
«Arrivederci», sussurrai alla sua sagoma
che scompariva dalla mia visuale.
Credetti a ogni sua parola; ero
diventata solo un piccolo frammento della sua vita passata, niente che
ricordasse con affetto o amore. Solo glaciale indifferenza. I mesi che avremmo
dovuto passare insieme, condividendo la stessa aria, per lui sarebbero stati
una passeggiata, per me il preludio dell’inferno.
Sei mesi di purgatorio, in cui avrei
dovuto fingere di non provare i sentimenti che la sua presenza aveva il potere
di far riemergere. Negare che non solo io non ero andata avanti, ma che lo amavo
ancora.
Lo avrei amato sempre.
Wowwww... Bellissimo capitolo... Non vedo l'ora di leggere il continuo...
RispondiEliminasolo sette giorni al 10 maggio...ce la posso fare...ce la posso fare!!:-))
RispondiEliminapossibile che mi sia già innamorata di Cooper ??!!!!
RispondiEliminaBellissimo meraviglioso. ..Cooper oddiiooo
RispondiEliminaBellissimo meraviglioso. ..Cooper oddiiooo
RispondiElimina
RispondiEliminaFantastico...sarà un piacere leggere questo libro...
RispondiEliminaFantastico...sarà un piacere leggere questo libro...