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domenica 8 gennaio 2017

Rubrica Self: Recensione in anteprima "Prima che sia l'alba" di Laura Pellegrini

Ciao Rumors. Oggi le nostre Nanà e Silvia, la ditta infallibile, ci parleranno in anteprima del nuovo romanzo di Laura Pellegrini, Prima che sia l'alba, in uscita domani 9 Gennaio
Titolo : Prima che sia l’alba
Autrice: Laura Pellegrini
Genere: Contemporary Romance
Editore: Self published
Data d'uscita: 09/01/2017 

"Siamo fatti di carne e limiti, di amore e cellule. Siamo fatti di ossa, lacrime e sorrisi, le stesse che gli ho regalato, gli stessi che lui mi ha donato.”
Questa è la storia di un amore. È la storia di uomo e di una donna, di due missioni differenti e di due vite che divengono una. È la storia di Gianluca e Manaar, un soldato e un medico volontario. Questa è la loro vita, questa è la loro storia.
“Perché l’amore non è solo battiti di cuore e farfalle. L’amore è darsi, l’amore è perdersi, l’amore è fidarsi, malgrado il dolore, malgrado le ferite, malgrado i denti che affondano nella tenera carne del cuore. Amare non significa essere immuni, amare significa aprire se stessi e rischiare."



Rinunciate alle certezze, alle frasi fatte, al caldo cantuccio di perfezioni inattaccabili, al “tu ed io, nonostante tutto”.
Rinunciate a tutto questo ed affrontate questa lettura proprio come abbiamo fatto noi, senza etichette, luoghi comuni ed utopie romanzate.
“Prima che sia l’alba” è l’appendice di una serie che rivede protagonisti Skyfall e la nostra Manaar. Tuttavia, pur essendo il corollario di questo ciclo di storie, non potrebbe essere più diverso dai libri che lo hanno preceduto. Già in “Prima che tu dica noi” è possibile scorgere una crepa, un’ombra che sembra avviluppare i protagonisti, quel non detto che riempie gli spazi più reconditi delle loro anime e che, in questo terzo libro, esplode e si infrange come  marosi sugli scogli.
È un amore totalizzante il loro. Sono due cuori che si rincorrono, che collimano i loro aneliti, che si dissetano solo con la presenza dell’altro ma che, per loro stessa natura, sono destinati a vivere nella costante penuria di un’assenza, sono costretti a elemosinare piccoli sprazzi di realtà illudendosi di vivere una quotidianità che agognano come l’ossigeno.
Perché essere se stessi significa rinunciare alla costante presenza dell’altro e, rinunciare all’altro, significa perdersi.
Un incarico mette tra di loro una distanza fisica che diventa anche emotiva.

“Mani, fiati, pelle, labbra, baci, lingue.
Caldo.
E poi aria che passa tra i nostri corpi, spazio improvviso a separarci.
Freddo.”

E allora non bastano più le telefonate; le fotografie diventano sfocati ricordi in una casa che rappresenta solo un guscio vuoto, la mano cerca un calore in un letto sfatto, gli stivali continuano a lambire l’asfalto polveroso di città senza colori, le gambe procedono per inerzia, stanche, sfinite.

Ma Gianluca e Manaar proseguono, un passo dopo l’altro, tacitando i propri pensieri, frenando l’urlo che sembra sgorgare dalle profonde immensità del proprio io.
Sino a quando il cuore cede, i polmoni non riverberano più ossigeno e le gambe, ormai stanche, si piegano. E si cade inesorabilmente.
Resta solo il silenzio di una resa che annienta tutto, se stessi e l’altro.

“Serro il cuore al pensiero, serro l’anima ai ricordi e trattengo un urlo. Lo trattengo nella gola, imbrigliandolo con la vergogna, con la dignità, con nulla, poi alla fine. Lo trattengo e basta perché se lo lasciassi andare non saprei cosa ne sarebbe di me.”

Le parole non dette corrodono la realtà tramutandola in rabbia, carne, polvere, caos, sdegno, vergogna, buio.
Odio verso se stessi.
E la bugia diventa l’unico strumento per non affondare, l’illusione a cui aggrapparsi quando intorno ci sono solo macerie e solitudine.
Gianluca e Manaar si perdono, alienano le loro identità, così preoccupati di difendere il loro amore da aver perso ogni contatto con il proprio io. Così annientati dal peso delle loro colpe da ricercare calore in effimeri simulacri che snaturano le loro persone.
Tuttavia, mentre il mondo di Manaar sembra riacquisire un bagliore di luce, quello di Gianluca si oscura definitivamente.

“Io dentro, lei fuori, un vetro in mezzo come la verità scomoda che le ho detto. Ma non è più tempo di fuggire. Non è più tempo di non guardarci negli occhi. Ora è tempo di urlare e gridare, se servirà, è tempo di parlare e toccarci, di riconoscerci per quelli che siamo”


Ma, a volte, quando si perde si vince davvero.
Quando tutto ciò che resta sono solo frammenti di sé, esiste ancora qualcosa per cui valga la pena combattere.
Ritrovarsi la dove l’odore della salsedine lenisce come un balsamo le ferite, dove le radici affondano e la pioggia spazza via rancori, lacrime, paure, il fango che si è insinuato tra due cuori.
Basta solo allungare la mano oltre quel vetro, chiudere gli occhi, accettare la propria caducità, ricordare il calore di quelle braccia.
Attraversare l’inferno per ritornare finalmente a casa.
  
“Ti amo perché sei linfa, vita, sangue, anima, viscere e perché se non lo facessi io non sarei io e tu non saresti tu.”

È questo il vero messaggio che attraversa l’intero romanzo: amare non significa vivere in una sorta di limbo emotivo popolato da farfalle e cuoricini. Richiede coraggio, forza, determinazione. Non si traduce nel ricercare la perfezione in se stessi e nell’altro. Amare significa perdersi, annullarsi e ritrovarsi per poi ricostruirsi malgrado tutto, malgrado le nostre insicurezze, le nostre paure, le incertezze. Amare comporta mettere tutte le carte in tavola, denudarsi, privarsi di maschere e rischiare inconsciamente, disintegrarsi per rinascere.
Più forti di prima. Più veri di prima.
Rumorine, questa è una storia che rispecchia i protagonisti: è impossibile assaporarla a piccoli sorsi. Ti travolge, ti sconvolge, ti incolla alle sue pagine, costringendoti a fare le ore piccole (come nel nostro caso) pur di arrivare alla fine. Il più delle volte vi ritroverete a stringere forte gli occhi e a trattenere le lacrime perché ci saranno momenti e situazioni difficili da sostenere. Ma sorriderete anche perché, proprio come accade nella vita reale, quando l’oscurità sembra avvolgere tutto come una cappa, l’amicizia scenderà in campo. E ritroverete volti familiari che vi strapperanno risate nella landa del dolore.


La scrittura della Pellegrini è qualcosa di indefinibile: è una poesia che, come una malia, incanta e ti trasporta nella storia. Non si è più un semplice lettore ma si respira, si vive, si percepisce tutto ciò che affrontano i nostri protagonisti. È come un transfert emotivo che ti accompagna sino all'ultima pagina, sino a “quell'epilogo” che riscalda il cuore.
Attraverso un formidabile snodo introspettivo, un ventaglio di emozioni, sensazioni, percezioni, immagini ed odori, si insinueranno sottopelle e sarete proprio voi a provare tutto questo bagaglio emotivo, varcando il palco di questa storia.  
La scrittrice ha compiuto una scelta coraggiosa che potrebbe anche far arricciare il naso a qualcuno ma che, a parer nostro, dimostra la sua sconfinata bravura che si sublima nella scelta di uno stile narrativo non appartenente ai romanzi di questo genere: i protagonisti non vivono in un mondo fatato fatto solo di baci e carezze. Affrontano entrambi un percorso catartico, perdono le loro certezze ma ritrovano se stessi, più forti di prima, più veri di quanto lo siano mai stati, diventando l’uno il prolungamento dell’altro.

E non serve parlare, non serve neppure respirare. Non serve aggiungere o togliere nulla. Siamo noi, con i limiti che ci caratterizzano, con le paure che ci frenano, con le ambizioni che a volte ci dividono. Siamo noi, un uomo e una donna, affinità elettive, diversi in un mondo ordinario.

Non siamo eroi, ma carne fatta di limiti, aneliti, necessità, imperfezioni. Siamo semplicemente noi. E, non per questo, non siamo destinati a vedere la luce.
Bisogna perdersi per ritrovarsi.
Bisogna conoscere il buio per illuminarsi.
xoxo,
Ditta Nanà&Gresy Sue
Teaser a cura di Vanessa Ceschin

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