Titolo : Prima che sia l’alba
Autrice:
Laura Pellegrini
Genere: Contemporary Romance
Editore: Self published
Data d'uscita: 09/01/2017
"Siamo fatti di
carne e limiti, di amore e cellule. Siamo fatti di ossa, lacrime e sorrisi, le
stesse che gli ho regalato, gli stessi che lui mi ha donato.”
Questa è la storia di un
amore. È la storia di uomo e di una donna, di due missioni differenti e di due
vite che divengono una. È la storia di Gianluca e Manaar, un soldato e un
medico volontario. Questa è la loro vita, questa è la loro storia.
“Perché l’amore non è
solo battiti di cuore e farfalle. L’amore è darsi, l’amore è perdersi, l’amore
è fidarsi, malgrado il dolore, malgrado le ferite, malgrado i denti che
affondano nella tenera carne del cuore. Amare non significa essere immuni,
amare significa aprire se stessi e rischiare."
Rinunciate alle
certezze, alle frasi fatte, al caldo cantuccio di perfezioni inattaccabili, al
“tu ed io, nonostante tutto”.
Rinunciate a tutto
questo ed affrontate questa lettura proprio come abbiamo fatto noi, senza
etichette, luoghi comuni ed utopie romanzate.
“Prima
che sia l’alba” è l’appendice
di una serie che rivede protagonisti Skyfall
e la nostra Manaar. Tuttavia, pur
essendo il corollario di questo ciclo di storie, non potrebbe essere più
diverso dai libri che lo hanno preceduto. Già in “Prima che tu dica noi” è possibile scorgere una crepa, un’ombra che
sembra avviluppare i protagonisti, quel non detto che riempie gli spazi più
reconditi delle loro anime e che, in questo terzo libro, esplode e si infrange
come marosi sugli scogli.
È un amore totalizzante
il loro. Sono due cuori che si rincorrono, che collimano i loro aneliti, che si
dissetano solo con la presenza dell’altro ma che, per loro stessa natura, sono
destinati a vivere nella costante penuria di un’assenza, sono costretti a
elemosinare piccoli sprazzi di realtà illudendosi di vivere una quotidianità
che agognano come l’ossigeno.
Perché essere se stessi significa rinunciare alla
costante presenza dell’altro e, rinunciare all’altro, significa perdersi.
Un incarico mette tra
di loro una distanza fisica che diventa anche emotiva.
“Mani, fiati, pelle, labbra, baci,
lingue.
Caldo.
E poi aria che passa tra i
nostri corpi, spazio improvviso a separarci.
Freddo.”
E allora non bastano
più le telefonate; le fotografie diventano sfocati ricordi in una casa che
rappresenta solo un guscio vuoto, la mano cerca un calore in un letto sfatto, gli
stivali continuano a lambire l’asfalto polveroso di città senza colori, le
gambe procedono per inerzia, stanche, sfinite.
Ma Gianluca e Manaar
proseguono, un passo dopo l’altro, tacitando i propri pensieri, frenando l’urlo
che sembra sgorgare dalle profonde immensità del proprio io.
Sino a quando il cuore
cede, i polmoni non riverberano più ossigeno e le gambe, ormai stanche, si
piegano. E si cade inesorabilmente.
Resta solo il silenzio
di una resa che annienta tutto, se stessi e l’altro.
“Serro il cuore al pensiero, serro l’anima ai ricordi e trattengo un
urlo. Lo trattengo nella gola, imbrigliandolo con la vergogna, con la dignità,
con nulla, poi alla fine. Lo trattengo e basta perché se lo lasciassi andare
non saprei cosa ne sarebbe di me.”
Le parole non dette
corrodono la realtà tramutandola in rabbia,
carne, polvere, caos, sdegno, vergogna, buio.
Odio verso se stessi.
E la bugia diventa l’unico strumento per non
affondare, l’illusione a cui aggrapparsi quando intorno ci sono solo macerie e
solitudine.
Gianluca e Manaar si
perdono, alienano le loro identità, così preoccupati di difendere il loro amore
da aver perso ogni contatto con il proprio io. Così annientati dal peso delle
loro colpe da ricercare calore in effimeri simulacri che snaturano le loro
persone.
Tuttavia, mentre il
mondo di Manaar sembra riacquisire un bagliore di luce, quello di Gianluca si
oscura definitivamente.
“Io dentro, lei fuori, un vetro in mezzo come la verità scomoda che le
ho detto. Ma non è più tempo di fuggire. Non è più tempo di non guardarci negli
occhi. Ora è tempo di urlare e gridare, se servirà, è tempo di parlare e
toccarci, di riconoscerci per quelli che siamo”
Ma, a volte, quando si perde si vince davvero.
Quando tutto ciò che resta sono solo frammenti di
sé, esiste ancora qualcosa per cui valga la pena combattere.
Ritrovarsi la dove l’odore della salsedine lenisce
come un balsamo le ferite, dove le radici affondano e la pioggia spazza via
rancori, lacrime, paure, il fango che si è insinuato tra due cuori.
Basta solo allungare la mano oltre quel vetro, chiudere gli occhi, accettare la
propria caducità, ricordare il calore di quelle braccia.
Attraversare l’inferno per ritornare finalmente a casa.
“Ti amo perché sei linfa, vita, sangue, anima, viscere e perché se non
lo facessi io non sarei io e tu non saresti tu.”
È questo il vero messaggio che attraversa l’intero
romanzo: amare non significa vivere in una sorta di limbo emotivo popolato da
farfalle e cuoricini. Richiede coraggio, forza, determinazione. Non si traduce
nel ricercare la perfezione in se stessi e nell’altro. Amare significa perdersi, annullarsi e ritrovarsi per poi ricostruirsi
malgrado tutto, malgrado le
nostre insicurezze, le nostre paure, le incertezze. Amare comporta mettere
tutte le carte in tavola, denudarsi, privarsi di maschere e rischiare
inconsciamente, disintegrarsi per rinascere.
Più
forti di prima. Più veri di prima.
Rumorine, questa è una storia
che rispecchia i protagonisti: è impossibile assaporarla a piccoli sorsi. Ti
travolge, ti sconvolge, ti incolla alle sue pagine, costringendoti a fare le
ore piccole (come nel nostro caso) pur di arrivare alla fine. Il più delle volte
vi ritroverete a stringere forte gli occhi e a trattenere le lacrime perché ci
saranno momenti e situazioni difficili da sostenere. Ma sorriderete anche
perché, proprio come accade nella vita reale, quando l’oscurità sembra
avvolgere tutto come una cappa, l’amicizia scenderà in campo. E ritroverete
volti familiari che vi strapperanno risate nella landa del dolore.
La scrittura della Pellegrini
è qualcosa di indefinibile: è una poesia
che, come una malia, incanta e ti trasporta nella storia. Non si è più un
semplice lettore ma si respira, si vive, si percepisce tutto ciò che affrontano
i nostri protagonisti. È come un transfert emotivo che ti accompagna sino all'ultima pagina, sino a “quell'epilogo” che riscalda il cuore.
Attraverso un formidabile snodo introspettivo,
un ventaglio di emozioni, sensazioni, percezioni, immagini ed odori, si
insinueranno sottopelle e sarete proprio voi a provare tutto questo bagaglio
emotivo, varcando il palco di questa storia.
La scrittrice ha compiuto una scelta
coraggiosa che potrebbe anche far arricciare il naso a qualcuno ma che, a
parer nostro, dimostra la sua sconfinata bravura che si sublima nella scelta di
uno stile narrativo non appartenente ai romanzi di questo genere: i
protagonisti non vivono in un mondo fatato fatto solo di baci e carezze.
Affrontano entrambi un percorso catartico, perdono le loro certezze ma
ritrovano se stessi, più forti di prima, più veri di quanto lo siano mai stati,
diventando l’uno il prolungamento dell’altro.
E non serve parlare, non serve neppure respirare.
Non serve aggiungere o togliere nulla. Siamo noi, con i limiti che ci
caratterizzano, con le paure che ci frenano, con le ambizioni che a volte ci
dividono. Siamo noi, un uomo e una donna, affinità elettive, diversi in un
mondo ordinario.
Non siamo eroi, ma
carne fatta di limiti, aneliti, necessità, imperfezioni. Siamo semplicemente
noi. E, non per questo, non siamo destinati a vedere la luce.
Bisogna perdersi per ritrovarsi.
Bisogna conoscere il
buio per illuminarsi.
xoxo,
Ditta Nanà&Gresy
Sue
Teaser a cura di Vanessa Ceschin
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